
Lavoro, settore moda, Milano Fashion week WOMEN'S COLLECTION: 185 milioni di indotto del made in Italy, un sistema che genera lavoro per circa 10mila persone di cui circa il 70% donne (pwc italia)
MODA
La Milano Fashion Week non è solo un evento, ma un motore di sviluppo del lavoro, culturale, economico e sociale per la nostra città e per il Paese. La settimana della moda femminile - in programma anche quest'anno a a Milano dal 25 febbraio al 3 marzo 2025 - in collaborazione con CNMI - CAMERA NAZIONALE DELLA MODA ITALIANA non celebra solo l'eccellenza del Made in Italy, ma crea anche opportunità concrete per chi lavora e sogna di lavorare in questa filiera strategica.
Sono sempre più numerose le aziende che assumono in questo settore: brand simbolo del Made in Italy, maison del lusso e marchi esteri che si sono affermati nel firmamento del fashion.
La filiera della moda è lunga e articolata e numerose sono le opportunità di lavoro offerte dalle aziende del comparto, non solo in ambito creativo ma anche nella produzione, nelle vendite, nel marketing e in altre aree.
Il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana Carlo Capasa annuncia una settimana intensa anche per quanto riguarda lo scouting di nuovi giovani che avranno l’opportunità di mostrare il loro talento al Fashion Hub di Palazzo Giureconsulti, spazio, aperto al pubblico durante tutta la durata della Fashion Week non solo con i progetti degli stilisti emergenti, ma anche con una serie di talk incentrati su temi come sperimentazione, artigianalità, innovazione, formazione, inclusione e sostenibilità.
È iniziato ufficialmente il countdown alla Milano fashion week dedicata alle collezioni donna per l’autunno-inverno 2025-26, una vetrina importante per i brand, un’occasione di business che produce un beneficio importante per il nostro paese in particolare per la città di Milano, l’impatto economico stimato dal centro studi di Confcommercio Milano, Lodi e Monza e Brianza, è poco sotto ai 185 milioni di euro, in crescita del 2,3% rispetto all’anno scorso. Analizzando le varie voci dell’indotto, 85 milioni di euro (46%) saranno spesi in shopping, 72 milioni (39%) in pernottamenti e ristorazione e 27,7 milioni (15%) nei trasporti. Nonostante la sostanziale stabilità dei visitatori (si prevedono 113 mila persone circa, -0,8% sul 2024, con un aumento degli italiani e un leggero calo degli stranieri), a trainare l’indotto sarà la spesa media che salirà a 1.641 euro, +3,1% sul 2024.
I DATI
La moda nel 2025: l’obiettivo è la stabilità, con una ripresa nel 2° semestre sia economico che lavorativo.
La stima del valore dell’indotto riconferma la centralità della fashion week milanese e rappresenta un volàno per l’industria. Specialmente in un momento critico come questo: i Fashion Economic Trends della Cnmi confermano i preconsuntivi diffusi prima di Natale, con i ricavi del settore moda “allargato” a occhiali, gioielli e beauty in calo del 5,2% a 96 miliardi. Di questi, 91 miliardi sono stati generati dal commercio estero, che, invece, nonostante le complessità geopolitiche dell’anno scorso e seppure in rallentamento, ha segnato un +2,5% rispetto al 2023. E, a fronte di un calo nell’import, contribuito alla cifra record di 44 miliardi di euro di saldo commerciale. Segnali di stabilizzazione - come il calo dei ricavi pari al -4,2%, il dato “migliore” dell’anno - sono arrivati dal quarto trimestre 2024: «Questi dati meno negativi rispetto a quelli dei primi tre trimestri ci fanno essere moderatamente ottimisti. Speriamo che il 2025 sia un anno di tenuta rispetto all’anno scorso, ma è presto per dirlo», ha commentato Capasa. Che su una delle incognite principali del 2025, i dazi che potrebbero essere imposti dagli Usa, si è detto «fiducioso, non mi aspetto che ci sia un attacco così ostile alla seconda industria italiana. Se arrivano i dazi, possiamo fare poco: possiamo solo accettarli».
Per i settori collegati export a +21,8%
La fashion week che è alle porte sarà un’importante vetrina per la moda italiana all’estero, complice il contributo di Ice che porterà a Milano compratori da paesi chiave. Nei primi 10 mesi dell 2024, le esportazioni dei cosiddetti settori “core” (abbigliamento, calzature, pelletteria) sono calate del -4,2%, con il picco negativo segnato dall’export verso la Svizzera (-48,7%), storicamente un hub logistico per i gruppi del lusso e il -11,8% della Corea, ma con la Francia, primo mercato, tenuta. Scenario diverso - ma non per il calo dell’export verso la Svizzera (-15,3%) - per i settori collegati che hanno registrato un incremento delle esportazioni in valore del 21,8%, trainato dal boom della Turchia (+387,5%) ma con performance positive anche in Spagna (+17,3%) ed Emirati (+14%).
bb/feb/2025
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"
MODA
La Milano Fashion Week non è solo un evento, ma un motore di sviluppo del lavoro, culturale, economico e sociale per la nostra città e per il Paese. La settimana della moda femminile - in programma anche quest'anno a a Milano dal 25 febbraio al 3 marzo 2025 - in collaborazione con CNMI - CAMERA NAZIONALE DELLA MODA ITALIANA non celebra solo l'eccellenza del Made in Italy, ma crea anche opportunità concrete per chi lavora e sogna di lavorare in questa filiera strategica.
Sono sempre più numerose le aziende che assumono in questo settore: brand simbolo del Made in Italy, maison del lusso e marchi esteri che si sono affermati nel firmamento del fashion.
La filiera della moda è lunga e articolata e numerose sono le opportunità di lavoro offerte dalle aziende del comparto, non solo in ambito creativo ma anche nella produzione, nelle vendite, nel marketing e in altre aree.
Il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana Carlo Capasa annuncia una settimana intensa anche per quanto riguarda lo scouting di nuovi giovani che avranno l’opportunità di mostrare il loro talento al Fashion Hub di Palazzo Giureconsulti, spazio, aperto al pubblico durante tutta la durata della Fashion Week non solo con i progetti degli stilisti emergenti, ma anche con una serie di talk incentrati su temi come sperimentazione, artigianalità, innovazione, formazione, inclusione e sostenibilità.
È iniziato ufficialmente il countdown alla Milano fashion week dedicata alle collezioni donna per l’autunno-inverno 2025-26, una vetrina importante per i brand, un’occasione di business che produce un beneficio importante per il nostro paese in particolare per la città di Milano, l’impatto economico stimato dal centro studi di Confcommercio Milano, Lodi e Monza e Brianza, è poco sotto ai 185 milioni di euro, in crescita del 2,3% rispetto all’anno scorso. Analizzando le varie voci dell’indotto, 85 milioni di euro (46%) saranno spesi in shopping, 72 milioni (39%) in pernottamenti e ristorazione e 27,7 milioni (15%) nei trasporti. Nonostante la sostanziale stabilità dei visitatori (si prevedono 113 mila persone circa, -0,8% sul 2024, con un aumento degli italiani e un leggero calo degli stranieri), a trainare l’indotto sarà la spesa media che salirà a 1.641 euro, +3,1% sul 2024.
I DATI
La moda nel 2025: l’obiettivo è la stabilità, con una ripresa nel 2° semestre sia economico che lavorativo.
La stima del valore dell’indotto riconferma la centralità della fashion week milanese e rappresenta un volàno per l’industria. Specialmente in un momento critico come questo: i Fashion Economic Trends della Cnmi confermano i preconsuntivi diffusi prima di Natale, con i ricavi del settore moda “allargato” a occhiali, gioielli e beauty in calo del 5,2% a 96 miliardi. Di questi, 91 miliardi sono stati generati dal commercio estero, che, invece, nonostante le complessità geopolitiche dell’anno scorso e seppure in rallentamento, ha segnato un +2,5% rispetto al 2023. E, a fronte di un calo nell’import, contribuito alla cifra record di 44 miliardi di euro di saldo commerciale. Segnali di stabilizzazione - come il calo dei ricavi pari al -4,2%, il dato “migliore” dell’anno - sono arrivati dal quarto trimestre 2024: «Questi dati meno negativi rispetto a quelli dei primi tre trimestri ci fanno essere moderatamente ottimisti. Speriamo che il 2025 sia un anno di tenuta rispetto all’anno scorso, ma è presto per dirlo», ha commentato Capasa. Che su una delle incognite principali del 2025, i dazi che potrebbero essere imposti dagli Usa, si è detto «fiducioso, non mi aspetto che ci sia un attacco così ostile alla seconda industria italiana. Se arrivano i dazi, possiamo fare poco: possiamo solo accettarli».
Per i settori collegati export a +21,8%
La fashion week che è alle porte sarà un’importante vetrina per la moda italiana all’estero, complice il contributo di Ice che porterà a Milano compratori da paesi chiave. Nei primi 10 mesi dell 2024, le esportazioni dei cosiddetti settori “core” (abbigliamento, calzature, pelletteria) sono calate del -4,2%, con il picco negativo segnato dall’export verso la Svizzera (-48,7%), storicamente un hub logistico per i gruppi del lusso e il -11,8% della Corea, ma con la Francia, primo mercato, tenuta. Scenario diverso - ma non per il calo dell’export verso la Svizzera (-15,3%) - per i settori collegati che hanno registrato un incremento delle esportazioni in valore del 21,8%, trainato dal boom della Turchia (+387,5%) ma con performance positive anche in Spagna (+17,3%) ed Emirati (+14%).
bb/feb/2025
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"

Moda e lavoro: le professioni del futuro che stanno rivoluzionando l’industria
Il settore della moda evolve rapidamente e in Italia rappresenta la seconda più grande industria per PIL generato. Accanto alle professioni più tradizionali, ne nascono di nuove, aprendo ai giovani interessanti opportunità di carriera
Lavorare nella moda
Il mondo della moda è in continua evoluzione, con nuove collezioni, trend, stili e influenze che emergono di stagione in stagione. Un settore che da sempre affascina, stimola e incuriosisce i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro. A cambiare non sono, però, soltanto le tendenze; anche le professioni che ruotano attorno a questo settore si stanno trasformando e contemporaneamente ne nascono di nuove.
Lavorare nella moda, quali nuove professioni considerare
Mentre, infatti, i ruoli tradizionali come stilisti e modelli rimangono fondamentali, il panorama della moda si sta arricchendo di nuove figure che si inseriscono in ambiti strategici come il marketing digitale, il fashion blogging, la sostenibilità e la tecnologia applicata al fashion.
È quanto emerge dalla ricerca “Osservatorio sul comparto moda e futuri scenari professionali” promossa da Accademia del Lusso, Scuola di Alta Formazione nel comparto moda e luxury, realizzata in collaborazione con Pambianco. Obiettivo dell’analisi è offrire una fotografia del settore e definire quali saranno le professioni che giocheranno un ruolo chiave nei prossimi anni partendo da quello che già oggi le aziende ricercano. Lo studio ha coinvolto 17 imprese tra le più importanti del settore moda e lusso a livello globale. Si tratta di un insieme di realtà che negli ultimi anni hanno generato un giro d’affari di 141 miliardi di euro, con una crescita di 45 miliardi rispetto a qualche anno fa.
Negli ultimi anni, l’industria della moda ha visto una crescita significativa anche in termini di occupazione, con numeri che confermano il suo impatto economico e culturale. E questo è ancora più vero in un Paese come l’Italia in cui l’ecosistema moda rappresenta il secondo maggiore player per PIL generato.
Negli ultimi anni è stato registrato un incremento di 37mila professionisti in questo comparto (sono 447mila in totale). Le donne rappresentano oltre il 70% dei dipendenti, mentre i giovani under 30 costituiscono il 39% del totale. L’Italia, da sola, impiega il 12% della forza lavoro del settore, con circa 52mila dipendenti.
La moda italiana continua a crescere a livello globale, soprattutto in termini di export e di apprezzamento internazionale. L’Italia è riconosciuta come un punto di riferimento per il design e il lusso dal 2022 ad oggi anni particolarmente significativi per il Made in Italy e per l’export. È stato raggiunto un record assoluto di oltre 600 miliardi di euro di esportazioni, che comprendono non solo abbigliamento e accessori, ma anche tutto ciò che riguarda l’intero ecosistema moda. Durante l’ultima Fashion Week, è stato annunciato che solo questo settore ha generato un valore di 100 miliardi di euro.
bb/gen/2025
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"

LAVORO 2024
Moda, i ceo credono nelle pari opportunità ma le donne faticano a far carriera
“Houston, abbiamo un problema”. Otto ceo del settore moda su 10 pensano che uomini e donne abbiano le stesse opportunità per fare carriera. Il tetto di cristallo, quindi, non esisterebbe se non per il 20% degli amministratori delegati. L’evidenza emerge dalla ricerca “Unpacking Pay Equity in Fashion: Italy” condotta da Global Fashion Agenda (GFA) e PwC Italia che approfondisce i temi legati all’equità retributiva di genere all’interno dell’industria della moda italiana, tra le più importanti ed influenti d’Europa.
Chi si occupa quotidianamente di parità di genere e di risorse umane non è della stessa opinione: solo la metà delle funzioni DE&I e HR intervistate sono d’accordo con quanto dichiarato dai ceo. Una discrepanza non da poco, che pone di fronte a un problema stringente: se chi guida un’azienda non è consapevole della disparità nella progressione di carriera fra uomini e donne, come si può risolvere il problema?
Disparità salariale
Alla domanda sulla percezione del divario retributivo di genere, solo il 20% dei produttori di moda italiani ha segnalato disparità salariale nelle proprie aziende, la maggior parte delle quali sono grandi aziende. Tuttavia, solo 1 impresa su 5 monitora e segnala le disuguaglianze salariali tra uomini e donne: il monitoraggio e la segnalazione delle disuguaglianze sono i primi passi verso una comprensione più completa e una maggiore consapevolezza del fenomeno.
L’indagine evidenzia come la percezione della disuguaglianza salariale vari a seconda del ruolo all’interno dell’azienda: le funzioni risorse umane (HR) e DE&I, che si occupano di queste questioni più frequentemente di altre, tendono a essere più consapevoli delle discriminazioni salariali. Due intervistati su tre nell’ambito HR e metà degli intervistati della funzione DE&I affermano chiaramente che ci sono disuguaglianze salariali a svantaggio delle donne, mentre soltanto il 20% dei CEO concorda con questa visione.
La percezione di una disparità di genere nell’avanzamento di carriera varia quindi in base alla funzione: mentre l’82% dei ceo ritiene che nelle possibilità di avanzamento di carriera non ci siano distinzioni totalmente uguale tra uomini e donne, la metà delle funzioni DE&I e HR sono solo parzialmente d’accordo.
Condizioni penalizzanti
Per quanto riguarda le condizioni penalizzanti che influiscono sulla disparità salariale, il 43% degli intervistati individua nella maternità il fattore che più influisce negativamente sulla progressione di carriera delle donne. Un’indagine condotta da PwC Italia tra aprile e maggio del 2024, su un campione di 500 donne lavoratrici o ex-lavoratrici tra i 25 e i 49 anni e con almeno un figlio, ha evidenziato come l’impatto principale che la maternità ha avuto sul lavoro è stato la riduzione delle ore di lavoro e la perdita del lavoro, fattori che alimentano il fenomeno della disparità salariale.
Nonostante il 60% delle aziende intervistate offra supporto alla genitorialità (la forma di sostegno più comune è la flessibilità, 38% delle aziende), solo il 5% delle aziende fornisce un congedo di paternità aggiuntivo o asili nido. Questi risultati indicano una mancata percezione delle esigenze della genitorialità, che fonda le sue radici in un pregiudizio di genere circa la divisione delle responsabilità di cura familiare e domestica.
Programmi interni alle aziende
La totalità delle grandi aziende coinvolte dichiara di avere almeno uno strumento per garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini. Tuttavia, oltre l’80% dell’industria manifatturiera della moda italiana è costituita da microimprese, molte delle quali sono esenti dalle attuali normative UE e italiane in materia di equità retributiva.
È importante sottolineare che molti di questi piccoli produttori sono parte integrante delle catene di fornitura per grandi marchi italiani ed europei che dovranno conformarsi a queste normative. Nonostante le loro dimensioni e l’attuale normativa, il 43% delle microimprese dichiara di avere già almeno una politica in atto per garantire la parità retributiva di genere, seguite dalle piccole imprese (27%) e dalle medie imprese (14%). Inoltre, metà delle aziende intervistate sta valutando di richiedere una certificazione per l’uguaglianza di genere.
La ricerca
L’analisi si basa su una ricerca condotta tramite 25 interviste ai più importanti brand della moda e un’indagine che ha coinvolto 105 aziende attive nella manifattura della moda e produttori italiani, una ricerca di GFA e le risultanze del progetto multi-stakeholders “Fashion Industry Target Consultation”, guidato da GFA e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).
bb/dic/2024
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"

Tessile abbigliamento moda, ecco le novità del rinnovo del contratto
Il nuovo contratto nazionale del settore tessile sarà in vigore fino al 31 marzo 2027 e interessa oltre 372mila dipendenti, impiegati in circa 41mila imprese.
A Milano ieri mattina la delegazione trattante e le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil hanno sottoscritto l’ipotesi d’accordo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del Tessile Abbigliamento Moda, con le rappresentanze confindustriali di SMI (Sistema Moda Italia). Il contratto, scaduto il 31 marzo 2024, sarà in vigore fino al 31 marzo 2027 e interessa oltre 372mila dipendenti, impiegati in circa 41mila imprese. La parola ora alle lavoratrici e ai lavoratori che nelle assemblee voteranno l’accordo.
La parte economica
L’ipotesi di accordo prevede un aumento complessivo (TEC) nel periodo di vigenza contrattuale di 232 euro al 4° livello, pari al 13%
Per quanto riguarda il TEM, l’incremento salariale sui minimi (riferito al 4° livello) sarà di 200 euro suddiviso in tre tranche: 95 euro 1° dicembre 2024; 57 euro 1° gennaio 2026; 48 euro 1° gennaio 2027. Il Montante sarà di 4001 euro e l’aumento corrispondente alla percentuale sui minimi dell’11,20%.
Nella vigenza contrattuale verranno riconosciuti 200 euro all’anno per quote aggiuntive di welfare le cui modalità verranno definite a livello aziendale.
Per quanto riguarda il welfare sanitario le aziende verseranno, per ogni lavoratore, un contributo aggiuntivo di 3 euro al fondo sanitario Sanimoda e di 2 euro all’assicurazione per la non autosufficienza (LTC).
La quota, sempre a carico delle imprese, destinata al fondo pensione complementare di settore Previmoda avrà un incremento dello 0,30% a partire dal 1° luglio 2026. La quota destinata alla Premorienza passerà invece allo 0,24% a partire dal 1° aprile 2025.
L’EGR, Elemento di Garanzia Retributiva, riferito alle lavoratrici e ai lavoratori delle aziende che non praticano contrattazione di 2° livello, vedrà un incremento annuale di 50 euro.
Si evidenzia che le lavoratrici e i lavoratori di primo livello vedranno un incremento nel triennio di 271 euro, questo consentirà il superamento della retribuzione oraria di 9 euro
La parte normativa
Sul tema della certificazione della rappresentanza le parti hanno recepito il Testo Unico per la compilazione UNIEMENS.
Per quel che riguarda le agibilità dei rappresentanti alla sicurezza, sono aumentati i permessi Rls recependo il Patto per la Fabbrica, così pure per quanto riguarda i lavoratori affetti da disabilità e inidoneità sopraggiunta, si è concordato il recepimento della norma sugli accomodamenti ragionevoli.
In tema di permessi: aumento da 5 a 10 i giorni non retribuiti per malattia figlia/o; estensione dei 3 giorni in caso di infermità o decesso dei figli del coniuge/convivente e in caso di decesso dei genitori del coniuge/convivente; permessi retribuiti da legge per adozioni e donatori di midollo osseo; permessi non retribuiti per chi assume la tutela di stranieri non accompagnati e per percorsi di fecondazione assistita anche intrapresi all’estero e riconoscimento di 30 giorni retribuiti per gli invalidi civili oltre il 50%. Inoltre, orario di lavoro agevolato per genitori di figli con DSA e la frazionabilità dei permessi in 104
Aumento dell’aspettativa non retribuita, in caso di superamento del periodo di comporto, che raddoppia passando da 4 a 8 mesi e riconoscimento di un periodo di comporto di 15 mesi per gli invalidi legge 68.
Nell’intesa, tra le altre novità, l’inserimento delle linee guida sulle ferie solidali e sulla partecipazione, la banca ore che passa da 32 a 40, l’accoglimento del protocollo nazionale sullo smart working e un mese in più, rispetto a quanto garantito dalla legge in materia, per le donne vittime di violenza di genere. Inoltre, sono inserite iniziative formative, concordate con le RSU, per la promozione della cultura contro la violenza. Sempre per quanto riguarda la formazione, 8 ore per il 2025 e 8 ore per il 2026 aggiuntive e riconoscimento per gli studenti universitari di 48 ore retribuite annue per lo studio e di permessi retribuiti per i giorni di esame e per i 2 precedenti.
Le parti hanno poi deciso di costituire l’Ente bilaterale di settore (EBM), quale sede partecipata che svilupperà un’informativa nazionale e iniziative congiunte finalizzate a favorire la difesa e lo sviluppo del settore.
Nell’Osservatorio nazionale sono stati aggiunti, tra gli ulteriori compiti, anche l’analisi dell’andamento dell’occupazione femminile e la promozione di iniziative sulle azioni positive per la diffusione delle buone pratiche, attraverso la mappatura infortuni e malattie professionali con ausilio dati INAIL.
Tante altre le novità contenute nell’intesa, come il pagamento della carenza malattia al 100% per i certificati medici superiori a 5 giornate.
I commenti della parte sindacale
“Un contratto innovativo, che punta sulle Relazioni Industriali per il rilancio del settore, dando risposte certe alle lavoratrici e ai lavoratori, non solo in termini economici, ma anche normativi, con specifica attenzione alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Così Sonia Tosoni, Raffaele Salvatoni, Livia Raffaglio, rispettivamente segretari nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, al termine dell’incontro.
Il giudizio della parte datoriale
Il presidente di Smi, Sergio Tamborini, ha commentato: “pur in un momento particolarmente difficile per tutta la filiera del tessile abbigliamento, abbiamo firmato un contratto nazionale che segna l’inizio di un cambiamento positivo e costruttivo nel rapporto tra aziende e lavoratori. Accanto alle soluzioni di carattere economico è stato importante equilibrare da un lato le esigenze di professionalità ed efficienza delle imprese, dall’altro quelle di sicurezza, equità e bilanciamento vita-lavoro dei nostri collaboratori. In questo contesto, anche la rinnovata attenzione al welfare, quindi al benessere complessivo dei dipendenti, diventa un importante elemento di svolta per una relazione proficua tra aziende e lavoratori”.
Il 5 novembre la lettera dei sindacati di settore al ministro Adolfo Urso
Ci vogliono politiche industriali con interventi mirati a sostenere e rilanciare l’intera filiera della moda. È quanto hanno chiesto lo scorso 5 novembre i tre segretari generali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, Marco Falcinelli, Nora Garofalo, Daniela Piras in una lettera inviata al ministro Adolfo Urso e al ministero delle Imprese e del Made in Italy.
I sindacati di categoria, nella lettera, hanno fatto presente che “l’intero settore manifatturiero del Sistema Moda manifesta da tempo grosse difficoltà (anche nel settore pelletterie) evidenziate proprio da un ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali sia nel comparto industriale che in quello artigiano”.
La crisi continua ad impattare in maniera forte sull’intera filiera del sistema moda e sull’indotto e i tavoli di crisi aperti da molto tempo a livello territoriale sono indicativi della difficoltà complessiva dell’intera filiera. “Più volte – scrivono i sindacati – ai tavoli specifici convocati presso il Mimit abbiamo sollecitato, come organizzazioni sindacali, interventi strutturali”.
Ad oggi l’unico intervento messo in campo per il settore è quanto deliberato dalla Presidenza del Consiglio con l’approvazione per il 2024, di 8 settimane di ammortizzatori sociali in deroga per le imprese del settore del Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero e Concia, anche artigiane con dimensione fino a 15 dipendenti. Misure ritenute necessarie dai sindacati ma non sufficienti. Per tali motivi ribadiscono “come non sia più procrastinabile lo sviluppo di politiche industriali che comprendano interventi decisi per il sostegno ed il rilancio della filiera complessivamente intesa”.
Per i sindacati di settore sono infatti necessari investimenti specifici sulla filiera e sui distretti che favoriscano l’aggregazione di impresa, la trasformazione digitale, l’accesso ai finanziamenti, piani di formazione finanziata a sostegno dell’occupabilità, progetti di valorizzazione energetica, e, in maniera netta, interventi in tema di contrasto all’illegalità, al dumping contrattuale, ai fenomeni di sfruttamento ed alla gravissima piaga della contraffazione a favore della buona e piena occupazione di lavoratrici e lavoratori.
“Per contrastare i fenomeni di illegalità – affermano – bisogna favorire la trasparenza dei rapporti contrattuali lungo tutta la filiera, a partire dagli appalti ma anche nel segmento del contoterzismo, per il quale diviene indispensabile individuare criteri certi di responsabilità in solido tra le imprese anche in caso di pluricommittenza”. I sindacati ritengono che, se si vuole rendere lettera viva il sostegno alla produzione Made in Italy, determinata non solo dall’allocazione geografica della produzione ma anche e soprattutto da un modello qualitativo di valore, “il progetto di intervento governativo non possa limitarsi ad interventi spot ma debba essere complessivo, coerente, di lunga durata, e accompagnato da una revisione complessiva della legislazione a tutela del Made in Italy”.
Le previsioni dello studio Prometeia-Intesa Sanpaolo
Un 2024 pronto alla chiusura e un biennio economico fra alti e bassi. Così possiamo fotografare il quadro italiano dal Rapporto Analisi dei Settori Industriali realizzato da Prometeia e Intesa Sanpaolo.
Per quanto concerne il settore in questione le previsioni non sono rosee. I cali più intensi sono, infatti, previsti per il Sistema Moda (-5,5%), alle prese con consumi di abbigliamento e calzature che faticano a ripartire, sia in Italia sia nei principali mercati di sbocco.
Secondo lo studio, “in un contesto internazionale che continuerà a essere incerto, la flessibilità e l’innovazione resteranno elementi centrali per il manifatturiero italiano. Il rientro dell’inflazione e la ripresa della domanda estera rappresentano opportunità importanti, ma la capacità del settore di coglierle dipenderà dall’adattamento alle nuove dinamiche globali e alla doppia transizione digitale e ambientale”.
bb/nov/2024
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"

Moda: oltre metà della manodopera è donna, ma nei cda sono solo il 30%
A fotografare la situazione è l’Osservatorio «Donne e Moda: il Barometro 2024», promosso dall’Ufficio Studi di PwC Italia - in collaborazione con Il Foglio della Moda
Nella moda più di metà della manodopera è femminile, ai vertici però sono quasi tutti uomini. In Italia lo scorso anno le donne hanno occupato meno di una posizione apicale su tre nei cda (30,9%). Mentre in Francia rappresentano il 47%, negli Stati Uniti il 40% e nel Regno Unito il 34%.
Nelle imprese artigiane 6 ceo su 10 sono donne
Mentre i grandi gruppi restano in mano agli uomini, nelle imprese artigiane la presenza femminile è molto più diffusa anche ai vertici. Il 77% di aziende ha una percentuale di donne pari o superiore al 50%, rispetto al 74% registrato nel 2023. Circa un terzo riporta di avere un cda prevalentemente femminile, con oltre il 60% dei membri donne. Ed entro il 2025 il 19% delle imprese prevede un aumento delle dirigenti, mentre il 32% prevede un aumento delle dipendenti. Le donne che ricoprono ruoli dirigenziali nelle imprese artigiane lavorano principalmente nella produzione (69%), amministrazione/contabilità (64%) e vendite (53%).
L’Osservatorio «Donne e Moda»
A fotografare la situazione è l’Osservatorio «Donne e Moda: il Barometro 2024», promosso dall’Ufficio Studi di PwC Italia - in collaborazione con Il Foglio della Moda. «A quattro anni dalla prima edizione dell’Osservatorio Donne e Moda la presenza femminile negli organi societari delle imprese del settore è aumentata di 3 punti percentuali, segno di un lieve cambiamento, ma è fondamentale implementare nelle aziende vere politiche di gender equality. In questo ambito l’Italia è allineata alla media europea, ma ancora distante da quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti che hanno già raggiunto il 40% di donne nei cda», evidenzia Erika Andreetta, Partner PwC Italia EMEA Luxury Community Leader.
Le donne sono il 59,1% nella manodopera
Nei settori del tessile e abbigliamento le donne nel 2022 rappresentavano il 59,1% (vs 59,8% nel 2021) della manodopera, un dato molto sopra la media dell’industria manifatturiera che è del 27,8% (2022). Nel settore conciario le donne sono il 20%, di queste circa l’85% ha un inquadramento contrattuale a tempo determinato. Il 9,3% ricopre un ruolo esecutivo/dirigenziale, l’8,7% ruoli operativi e la restante parte si divide tra ruoli amministrativi e di ricerca e sviluppo.
Ai vertici le donne sono l’eccezione
Se si va a vedere quali ruoli hanno le donne nel tessile, emerge che la maggior parte di loro svolge un lavoro impiegatizio (59,1% del totale impiegati), seguite dalle operaie (45,7% del totale operai). Tra i quadri le donne sono solo il 27,4% del totale contro il 72,6% degli uomini. Tra i dirigenti sono ancora meno: il 17,3% del totale contro l’82,7% degli uomini. Nell’abbigliamento la presenza femminile è più alta ma anche qui salendo ai vertici della piramide la percentuale di donne diminuisce progressivamente. Anche in questo caso le donne sono prevalentemente impiegate (73,5% del totale impiegati) o operaie (65,6% del totale). Tra i quadri le donne sono il 44,1% del totale contro il 55,9% di uomini, mentre nelle posizioni dirigenziali rappresentano solo il 30,6% del totale contro il 69,4% degli uomini.
L’età delle lavoratrici
Il 9,4% delle lavoratrici ha meno di 29 anni, il 17,2% tra i 30-39 anni, il 31,2% tra i 40-49 anni, il 35,6% tra i 50-59 anni. Il 6,4% ha oltre 60 anni. Le donne in posizioni dirigenziali sono mediamente più giovani della controparte maschile di circa 2 anni (50,8 vs 52,8). Per il 94% di intervistati non è presente una disparità salariale tra uomini e donne. Ma dai dati emerge che in quasi un’azienda su quattro non ci sono pari opportunità per uomini e donne nei processi di selezione.
Il part-time è donna
Il 52% delle aziende dichiara di avere almeno una donna con un contratto part time, mentre solo il 14% almeno un uomo. Il 32% delle aziende artigiane intervistate ha dichiarato di non aver alcuno strumento di welfare a sostegno della genitorialità, mentre il 46% di esse ha dichiarato di avere orari flessibili in azienda.
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"
A fotografare la situazione è l’Osservatorio «Donne e Moda: il Barometro 2024», promosso dall’Ufficio Studi di PwC Italia - in collaborazione con Il Foglio della Moda
Nella moda più di metà della manodopera è femminile, ai vertici però sono quasi tutti uomini. In Italia lo scorso anno le donne hanno occupato meno di una posizione apicale su tre nei cda (30,9%). Mentre in Francia rappresentano il 47%, negli Stati Uniti il 40% e nel Regno Unito il 34%.
Nelle imprese artigiane 6 ceo su 10 sono donne
Mentre i grandi gruppi restano in mano agli uomini, nelle imprese artigiane la presenza femminile è molto più diffusa anche ai vertici. Il 77% di aziende ha una percentuale di donne pari o superiore al 50%, rispetto al 74% registrato nel 2023. Circa un terzo riporta di avere un cda prevalentemente femminile, con oltre il 60% dei membri donne. Ed entro il 2025 il 19% delle imprese prevede un aumento delle dirigenti, mentre il 32% prevede un aumento delle dipendenti. Le donne che ricoprono ruoli dirigenziali nelle imprese artigiane lavorano principalmente nella produzione (69%), amministrazione/contabilità (64%) e vendite (53%).
L’Osservatorio «Donne e Moda»
A fotografare la situazione è l’Osservatorio «Donne e Moda: il Barometro 2024», promosso dall’Ufficio Studi di PwC Italia - in collaborazione con Il Foglio della Moda. «A quattro anni dalla prima edizione dell’Osservatorio Donne e Moda la presenza femminile negli organi societari delle imprese del settore è aumentata di 3 punti percentuali, segno di un lieve cambiamento, ma è fondamentale implementare nelle aziende vere politiche di gender equality. In questo ambito l’Italia è allineata alla media europea, ma ancora distante da quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti che hanno già raggiunto il 40% di donne nei cda», evidenzia Erika Andreetta, Partner PwC Italia EMEA Luxury Community Leader.
Le donne sono il 59,1% nella manodopera
Nei settori del tessile e abbigliamento le donne nel 2022 rappresentavano il 59,1% (vs 59,8% nel 2021) della manodopera, un dato molto sopra la media dell’industria manifatturiera che è del 27,8% (2022). Nel settore conciario le donne sono il 20%, di queste circa l’85% ha un inquadramento contrattuale a tempo determinato. Il 9,3% ricopre un ruolo esecutivo/dirigenziale, l’8,7% ruoli operativi e la restante parte si divide tra ruoli amministrativi e di ricerca e sviluppo.
Ai vertici le donne sono l’eccezione
Se si va a vedere quali ruoli hanno le donne nel tessile, emerge che la maggior parte di loro svolge un lavoro impiegatizio (59,1% del totale impiegati), seguite dalle operaie (45,7% del totale operai). Tra i quadri le donne sono solo il 27,4% del totale contro il 72,6% degli uomini. Tra i dirigenti sono ancora meno: il 17,3% del totale contro l’82,7% degli uomini. Nell’abbigliamento la presenza femminile è più alta ma anche qui salendo ai vertici della piramide la percentuale di donne diminuisce progressivamente. Anche in questo caso le donne sono prevalentemente impiegate (73,5% del totale impiegati) o operaie (65,6% del totale). Tra i quadri le donne sono il 44,1% del totale contro il 55,9% di uomini, mentre nelle posizioni dirigenziali rappresentano solo il 30,6% del totale contro il 69,4% degli uomini.
L’età delle lavoratrici
Il 9,4% delle lavoratrici ha meno di 29 anni, il 17,2% tra i 30-39 anni, il 31,2% tra i 40-49 anni, il 35,6% tra i 50-59 anni. Il 6,4% ha oltre 60 anni. Le donne in posizioni dirigenziali sono mediamente più giovani della controparte maschile di circa 2 anni (50,8 vs 52,8). Per il 94% di intervistati non è presente una disparità salariale tra uomini e donne. Ma dai dati emerge che in quasi un’azienda su quattro non ci sono pari opportunità per uomini e donne nei processi di selezione.
Il part-time è donna
Il 52% delle aziende dichiara di avere almeno una donna con un contratto part time, mentre solo il 14% almeno un uomo. Il 32% delle aziende artigiane intervistate ha dichiarato di non aver alcuno strumento di welfare a sostegno della genitorialità, mentre il 46% di esse ha dichiarato di avere orari flessibili in azienda.
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"

- LAVORO 2024
A partire dal 3 dicembre 2024 , le aziende operanti nei settori della moda (che occupano mediamente fino a 15 dipendenti nel semestre precedente e che non avrebbero potuto ricorrere agli ordinari strumenti di integrazione salariale per esaurimento dei periodi autorizzabili) possono richiedere la nuova misura di sostegno al reddito introdotta dal decreto legge n. 160/2024 per fronteggiare e superare la situazione di crisi che sta attraversando il comparto della moda.
La circolare numero 99 del 26 novembre 2024 pubblicata dall’Istituto specifica che, dal 3 dicembre p.v. e per i 15 giorni successivi, i datori di lavoro che svolgono le attività dettagliate nell’allegato n. 1 della circolare possono inviare le domande riferite a periodi di riduzioni/sospensioni dell’attività lavorativa già intervenute a decorrere dal 29 ottobre 2024.
Possono essere richieste al massimo 9 settimane di trattamenti, a copertura di periodi che devono comunque collocarsi entro il 31 dicembre 2024.
a cura di Barbara Balistreri, Direttrice del periodico "La Tutela del Lavoro"
ARCHIVIO STORICO ARTICOLI DONNE E LAVORO NEI SETTORI: INDUSTRIA, TERZIARIO, AGRICOLTURA, SANITA' , SCUOLA
L'OCCUPAZIONE FEMMINILE, LE POLITICHE PUBBLICHE ITALIANE - DOCUMENTO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
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