di Barbara Balistreri
Gender tax: la terapia d’urto per superare “la questione di genere” sulle disparità salariali. Un gap solo culturale.
Una possibile strategi a, anche se non sufficiente, che porterebbe iniziare a sovvertire gli schemi che producono un divario che ha radici culturali profonde, ma non mancano dubbi e criticità. Andiamo a vedere quali.
Le donne guadagnano meno degli uomini. Decisamente meno.
La legge è uguale per tutti, i contratti pure, ma per le donne questa parità è solo apparente, se lavorano.
Si chiama gender pay gap: è la differenza che corre, a parità di mansione, fra lo stipendio di un uomo e quello di una donna.
La questione di genere è un gap culturale, il ruolo di cura affidato alla donna è uno stereotipo da scardinare, per questo sono necessarie misure come l’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere, che potrebbe iniziare a ridurre le disuguaglianze retributive a partire dalla tassazione.
L’articolo 37 della nostra Costituzione affronta la questione del lavoro femminile affermando la parità dei diritti della donna lavoratrice e il principio dell'uguaglianza dei salari, principî legati alla parità:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…”
Diritti ancora oggi purtroppo disattesi e non pienamente sostenuti da un welfare state ancora troppo concentrato sul concetto di “sostegno alla cura familiare” e non incentrato sulla persona, sulla donna, sulla necessità di sviluppare ed offrire una rete di servizi tali da allentare l’impegno e la cura familiare che è soprattutto a carico delle donne, a discapito del valore del lavoro femminile.
Da questa consapevolezza circa 15 anni fa nasce la proposta dell’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere, con l’obiettivo di aumentare il valore del lavoro delle donne, diminuendo la tassazione. Questa idea poggia le basi sulla regola di Ramsey che si può tradurre in una metafora eloquente: il lavoro dell’uomo è un bene di prima necessità, meno elastico, che si può tassare di più, quello della donna è un bene di lusso, più elastico, che si deve tassare di meno.
La Proposta, formulata dagli economisti Andrea Ichino dell’European University Institut e Alberto Alesina della Harvard University, prende forma dall’osservazione di alcune dinamiche tipiche all’interno delle famiglie tradizionali, composte da marito, moglie e figli dove la distribuzione del carico di lavoro familiare risulta ancora nettamente squilibrata: alle donne è affidato un peso maggiore nella gestione della famiglia, che le porta spesso a rinunciare allo sviluppo professionale, talvolta a limitarlo a causa dei carichi familiari.
In questo contesto le donne non sono solo frenate, ma spesso sono portate a ridurre il loro impegno o addirittura non inoltrarsi neanche nel mondo del lavoro, come dimostra l’ultimo bilancio di genere pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che registra una differenza tra l’occupazione femminile e quella maschile pari al 17,9%.
Come rovesciare e riequilibrare i ruoli dell’uomo e della donna culturalmente radicati? La rivoluzione parte dal sistema di tassazione e per i due economisti la formula da adottare è la gender Tax.
Ma come funziona e quali sono i vantaggi e le criticità?
Il Vantaggio è un incentivo all’occupazione femminile che possa agire dalla parte dell’offerta e non della domanda, un meccanismo che spinga le donne a partecipare al mondo del lavoro. La gender tax potrebbe creare un terreno fertile per le donne che hanno intenzione di mettersi nel mercato del lavoro o di non ridurre l’attività anche in caso di un impegno familiare più importante: con un’aliquota più favorevole, il lavoro assumerebbe un altro valore imponendo anche una revisione della distribuzione degli impegni dettati dalla famiglia.
Per Andrea Ichino si tratta di una revisione del sistema di tassazione a costo zero e con una serie di vantaggi:
Ma l’applicazione pura della tassazione differenziata per genere, anche se prevede buoni risultati presenta forti criticità e dubbi.
In primo luogo sulla costituzionalità della proposta. Un trattamento fiscale differenziato in base al sesso sarebbe compatibile con l’articolo 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”?
Sostenere indistintamente le donne perché considerate come l’anello debole è davvero la strada giusta per un trattamento paritario?
Ed infine se l’obiettivo è anche quello di riequilibrare il carico di lavoro all’interno della famiglia, la gender tax dimentica una serie di famiglie che non rientrano nello schema tradizionale.
Il rischio è che la proposta, nata per includere, finisca per favorire in maniera esclusiva e indiscriminata.
La gender tax è ciclicamente al centro del dibattito, analizzata, discussa e periodicamente trattata ma anche per tutte queste incognite non ha ancora mai visto la luce e purtroppo i dati descrivono una triste realtà:
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), utilizzando i dati Istat per l’Italia ed Eurostat per l’UE, fornisce il tasso di occupazione, ovvero il rapporto tra popolazione occupata e popolazione in età attiva per il 2019: in Italia il tasso globale è pari circa al 58%, con un tasso inferiore al 50% per le donne e prossimo al 70% per gli uomini, con una polarizzazione di genere del mercato del lavoro. Il 40 per cento delle donne occupate è impiegata in tre macrosettori, che ovviamente sono legati alla cura:
Di recente, Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha proposto una possibile soluzione alternativa per aggirare gli ostacoli costituzionali di una tassazione differenziata per genere, ovvero: tassare meno il secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro, che molto spesso è donna.
Modalità diversa ma con lo stesso obiettivo: migliorare l'occupazione femminile e la distribuzione dei carichi di cura all'interno delle famiglie. Da affiancare ad un corollario di altre misure, come il potenziamento degli asili nido o del sistema dei congedi. Per superare un paradigma culturale consolidato serve una forte volontà unita ad una forte spinta a mettere in campo strumenti e piani per una profonda revisione del “sistema”.
Abbiamo davanti a noi due grandi occasioni: La riforma fiscale, a partire dalla revisione dell’Irpef, una delle misure collegate all’attuazione del PNRR, e l’impiego delle risorse del Recovery Fund.
Non abbiamo più tempo, nessuna proroga!
Barbara Balistreri
Responsabile Nazionale Federazione Donne Sindacato SALP ACAI
Referente Centro Studi Women Welfare Italia
Direttrice della testata "La Tutela del Lavoro"
Fonti:statigenerali.com,rep.it,informazionefiscale.it,sole24ore.it,senato.i,tandreaichino.it,3.weforum.orgistat.it
Gender tax: la terapia d’urto per superare “la questione di genere” sulle disparità salariali. Un gap solo culturale.
Una possibile strategi a, anche se non sufficiente, che porterebbe iniziare a sovvertire gli schemi che producono un divario che ha radici culturali profonde, ma non mancano dubbi e criticità. Andiamo a vedere quali.
Le donne guadagnano meno degli uomini. Decisamente meno.
La legge è uguale per tutti, i contratti pure, ma per le donne questa parità è solo apparente, se lavorano.
Si chiama gender pay gap: è la differenza che corre, a parità di mansione, fra lo stipendio di un uomo e quello di una donna.
La questione di genere è un gap culturale, il ruolo di cura affidato alla donna è uno stereotipo da scardinare, per questo sono necessarie misure come l’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere, che potrebbe iniziare a ridurre le disuguaglianze retributive a partire dalla tassazione.
L’articolo 37 della nostra Costituzione affronta la questione del lavoro femminile affermando la parità dei diritti della donna lavoratrice e il principio dell'uguaglianza dei salari, principî legati alla parità:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…”
Diritti ancora oggi purtroppo disattesi e non pienamente sostenuti da un welfare state ancora troppo concentrato sul concetto di “sostegno alla cura familiare” e non incentrato sulla persona, sulla donna, sulla necessità di sviluppare ed offrire una rete di servizi tali da allentare l’impegno e la cura familiare che è soprattutto a carico delle donne, a discapito del valore del lavoro femminile.
Da questa consapevolezza circa 15 anni fa nasce la proposta dell’introduzione di una gender tax, una tassazione differenziata per genere, con l’obiettivo di aumentare il valore del lavoro delle donne, diminuendo la tassazione. Questa idea poggia le basi sulla regola di Ramsey che si può tradurre in una metafora eloquente: il lavoro dell’uomo è un bene di prima necessità, meno elastico, che si può tassare di più, quello della donna è un bene di lusso, più elastico, che si deve tassare di meno.
La Proposta, formulata dagli economisti Andrea Ichino dell’European University Institut e Alberto Alesina della Harvard University, prende forma dall’osservazione di alcune dinamiche tipiche all’interno delle famiglie tradizionali, composte da marito, moglie e figli dove la distribuzione del carico di lavoro familiare risulta ancora nettamente squilibrata: alle donne è affidato un peso maggiore nella gestione della famiglia, che le porta spesso a rinunciare allo sviluppo professionale, talvolta a limitarlo a causa dei carichi familiari.
In questo contesto le donne non sono solo frenate, ma spesso sono portate a ridurre il loro impegno o addirittura non inoltrarsi neanche nel mondo del lavoro, come dimostra l’ultimo bilancio di genere pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che registra una differenza tra l’occupazione femminile e quella maschile pari al 17,9%.
Come rovesciare e riequilibrare i ruoli dell’uomo e della donna culturalmente radicati? La rivoluzione parte dal sistema di tassazione e per i due economisti la formula da adottare è la gender Tax.
Ma come funziona e quali sono i vantaggi e le criticità?
Il Vantaggio è un incentivo all’occupazione femminile che possa agire dalla parte dell’offerta e non della domanda, un meccanismo che spinga le donne a partecipare al mondo del lavoro. La gender tax potrebbe creare un terreno fertile per le donne che hanno intenzione di mettersi nel mercato del lavoro o di non ridurre l’attività anche in caso di un impegno familiare più importante: con un’aliquota più favorevole, il lavoro assumerebbe un altro valore imponendo anche una revisione della distribuzione degli impegni dettati dalla famiglia.
Per Andrea Ichino si tratta di una revisione del sistema di tassazione a costo zero e con una serie di vantaggi:
- riduzione della pressione fiscale media a parità di gettito;
- aumento del reddito prodotto dalle donne senza ridurre quello prodotto dagli uomini;
- cambio dei rapporti di forza in famiglia accelerando il riequilibrio tra i sessi;
- sostegno all’occupazione femminile.
Ma l’applicazione pura della tassazione differenziata per genere, anche se prevede buoni risultati presenta forti criticità e dubbi.
In primo luogo sulla costituzionalità della proposta. Un trattamento fiscale differenziato in base al sesso sarebbe compatibile con l’articolo 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”?
Sostenere indistintamente le donne perché considerate come l’anello debole è davvero la strada giusta per un trattamento paritario?
Ed infine se l’obiettivo è anche quello di riequilibrare il carico di lavoro all’interno della famiglia, la gender tax dimentica una serie di famiglie che non rientrano nello schema tradizionale.
Il rischio è che la proposta, nata per includere, finisca per favorire in maniera esclusiva e indiscriminata.
La gender tax è ciclicamente al centro del dibattito, analizzata, discussa e periodicamente trattata ma anche per tutte queste incognite non ha ancora mai visto la luce e purtroppo i dati descrivono una triste realtà:
- nel Global Gender Gap Index 2021 l’Italia è al 63° posto su 153 dopo Bolivia e Perù;
- secondo l’aggiornamento Istat pubblicati di marzo 2021, l’occupazione femminile è al 49,4 per cento contro il 67,3 per cento degli uomini;
- il prezzo dell’emergenza sanitaria del 2020 è stato più caro per l’occupazione femminile calata del 3,4 per cento, rispetto al 2,8 per cento di quella maschile.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), utilizzando i dati Istat per l’Italia ed Eurostat per l’UE, fornisce il tasso di occupazione, ovvero il rapporto tra popolazione occupata e popolazione in età attiva per il 2019: in Italia il tasso globale è pari circa al 58%, con un tasso inferiore al 50% per le donne e prossimo al 70% per gli uomini, con una polarizzazione di genere del mercato del lavoro. Il 40 per cento delle donne occupate è impiegata in tre macrosettori, che ovviamente sono legati alla cura:
- istruzione;
- servizi alle persone;
- sanità.
Di recente, Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha proposto una possibile soluzione alternativa per aggirare gli ostacoli costituzionali di una tassazione differenziata per genere, ovvero: tassare meno il secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro, che molto spesso è donna.
Modalità diversa ma con lo stesso obiettivo: migliorare l'occupazione femminile e la distribuzione dei carichi di cura all'interno delle famiglie. Da affiancare ad un corollario di altre misure, come il potenziamento degli asili nido o del sistema dei congedi. Per superare un paradigma culturale consolidato serve una forte volontà unita ad una forte spinta a mettere in campo strumenti e piani per una profonda revisione del “sistema”.
Abbiamo davanti a noi due grandi occasioni: La riforma fiscale, a partire dalla revisione dell’Irpef, una delle misure collegate all’attuazione del PNRR, e l’impiego delle risorse del Recovery Fund.
Non abbiamo più tempo, nessuna proroga!
Barbara Balistreri
Responsabile Nazionale Federazione Donne Sindacato SALP ACAI
Referente Centro Studi Women Welfare Italia
Direttrice della testata "La Tutela del Lavoro"
Fonti:statigenerali.com,rep.it,informazionefiscale.it,sole24ore.it,senato.i,tandreaichino.it,3.weforum.orgistat.it