Salario minimo: i principi (e le criticità) della delega al Governo
Il dibattito politico sul salario minimo si concentra, nel 2024, sulla delega al Governo per l’adozione, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva. In particolare, il testo della delega chiede di individuare per ogni categoria il contratto maggiormente applicato e di estendere erga omnes la disposizione del contratto collettivo che si occupa della materia retributiva. Inoltre, si vuole dare impulso alla contrattazione collettiva di secondo livello, che dovrebbe essere incentivata e che potrebbe essere utilizzata come strumento di rilancio della produttività delle imprese. Proposte che, tuttavia, potrebbero trovare delle difficoltà applicative nel nostro ordinamento. Per quali ragioni?
Il tema della giusta retribuzione e il fenomeno dei lavoratori poveri sono nuovamente al centro del dibattito politico e sindacale.
Questa volta il legislatore è tornato sul tema con una delega al Governo, il quale è chiamato ad adottare, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché in materia di controlli e informazioni.
Il ruolo della contrattazione collettiva
Prima di entrare nel merito della proposta, è opportuno ricordare che la storia delle relazioni sindacali del nostro Paese negli ultimi 70 anni ha posto la contrattazione collettiva al centro del sistema per la determinazione dei trattamenti retributivi, affinché tali trattamenti siano rispondenti al precetto di cui all’art. 36 della Costituzione, in linea con le situazioni economiche di mercato dei singoli settori, nonché coerenti con le qualifiche dei singoli lavoratori e con l’andamento della produttività dei diversi comparti.
La giurisprudenza, infatti, facendo leva proprio sull’art. 36 Cost. e sull’ art. 2099 c.c., è riuscita a garantire l’estensione nell’applicazione dei contratti collettivi e, segnatamente, dei minimi retributivi dagli stessi definiti. Il meccanismo elaborato dalla giurisprudenza nel corso degli anni - e oggi ampiamente consolidato - si basa proprio sull’assunto per il quale la contrattazione collettiva, con le sue caratteristiche di flessibilità e uniformità, è lo strumento maggiormente in grado di fissare la giusta misura della retribuzione
La Direttiva UE 2022/2041
Il quadro internazionale dimostra, poi, che la determinazione per legge di un salario minimo è tipica di Paesi caratterizzati da un sistema di contrattazione collettiva “debole”. La situazione italiana è differente poiché vi è una significativa diffusione non solo della contrattazione collettiva nazionale, ma anche della contrattazione collettiva di secondo livello.
Anche la recente Direttiva UE 2022/2041 relativa a salari minimi adeguati nell’ Unione europea istituisce un quadro di riferimento principalmente finalizzato a promuovere la diffusione della contrattazione collettiva nella determinazione dei salari.
Essa pone al centro del sistema per il miglioramento del mercato del lavoro proprio il ruolo centrale delle Parti Sociali, stimolando gli Stati membri a rafforzare la contrattazione collettiva e ad incoraggiare negoziazioni costruttive, significative e informate.
La Direttiva ribadisce, ancora una volta, come la chiave di volta per poter migliorare il sistema di tutele e accrescere la produttività sia la “contrattazione collettiva di qualità”, che si compone di una serie di strumenti e disposizioni, che vanno ben oltre i “minimi salariali” e che incidono fortemente sulla capacità di spesa, sul benessere economico e organizzativo dei lavoratori e sul sistema dei diritti sociali.
Proprio l’ampia diffusione della contrattazione collettiva nel nostro Paese ha consentito di elaborare un sistema di protezioni e tutele complessive, che non possono essere ricondotti alla sola nazione di “salario minimo”. L’introduzione di un salario minimo legale, pertanto, vanificherebbe gli equilibri raggiunti tra le parti sociali e indebolirebbe il ruolo del contratto collettivo, che, lungi dal determinare i soli salari, è lo strumento che consente di individuare soluzioni per le mutevoli esigenze organizzative e di flessibilità delle imprese, di assicurare tutele collettive e, spesso, sistemi di welfare integrativi in favore dei dipendenti. Si pensi, ad esempio, alle previsioni dei Ccnl sulle prestazioni erogate dagli enti bilaterali dell’artigianato e della piccola e media impresa, che determinano vantaggi economici per i dipendenti ben superiori alla singola quota di contribuzione.
Inoltre, l’introduzione di una norma sul salario potrebbe essere inefficace anche per arginare il lavoro irregolare, supponendo che, ai lavoratori irregolari non verrebbe applicato il salario minimo legale, così come oggi non viene riconosciuto il salario minimo contrattuale. Ben più auspicabile, invece, intervenire efficacemente sul sistema di vigilanza, del controllo e della certezza delle regole.Cosa prevede la delega al GovernoLa recente proposta del legislatore di intervenire in materia di salario minimo se da un lato elimina il riferimento al salario minimo orario - riferimento che avrebbe comportato notevoli complessità attuative e, nei casi peggiori, anche a una vera e propria fuga dall’applicazione del contratto collettivo - dall’altro lato, tuttavia, sembra continuare a ignorare il tema del pluralismo sindacale, che è nei tratti caratteristici del nostro ordinamento sindacale.
Il testo della delega al governo, infatti, chiede di individuare per ogni categoria il contratto maggiormente applicato. Si tratta di una disposizione di difficile attuazione, per varie ragioni, che fanno perno sull’art. 39 Cost.
In primo luogo, non esiste un elenco tassativo delle categorie di riferimento dei vari Ccnl, ma è possibile che i contratti collettivi abbiamo campi di applicazione che si sovrappongono, totalmente o parzialmente. Come noto, infatti, l’art. 39 Cost. dispone che “l’organizzazione sindacale è libera” e tale principio è stato interpretato anche consentendo a ciascuna organizzazione sindacale e datoriale di raggruppare e rappresentare datori di lavoro e lavoratori non appartenenti a una categoria specifica omogenea e predeterminata.
In altri termini, il pluralismo sindacale, che trova espressione nei vari perimetri sanciti dai contratti collettivi è frutto della libertà dell’organizzazione sindacale. Sarebbe quindi necessario chiarire la compatibilità di una disposizione siffatta con l’art. 39 della Costituzione, primo comma.
In secondo luogo, la norma sembra voler produrre l’estensione erga omnes della disposizione del contratto collettivo che si occupa della materia retributiva. Il nostro ordinamento, tuttavia, consente tale estensione solo a seguito di un procedimento specifico, che passa attraverso la registrazione delle varie organizzazioni sindacali e datoriali. Non si comprende, pertanto, come conciliare tale previsione con il disposto dell’articolo 39, quarto comma.
Ben più opportuna, invece, la parte delle delega che intende dare impulso alla contrattazione collettiva di secondo livello, che dovrebbe essere incentivata e che potrebbe essere utilizzata anche come strumento di rilancio della produttività, della bilateralità o del welfare, della conciliazione vita-lavoro, della formazione professionale, ma anche come strumento di modernizzazione dell’attività di impresa e come facilitatore della trasmissione dell’attività di impresa
In estrema sintesi, la breve indagine in parola consente di concludere come ogni proposta che favorisca l’introduzione del salario minimo legale costituisca un tema estremamente complesso per l’attuale assetto del nostro ordinamento sindacale.
L’idea di estendere il trattamento del contratto maggiormente applicato in ciascuna categoria appare uno degli aspetti più controversi della delega, perché non tiene conto del fatto che, le attuali differenze retributive presenti nei vari contratti collettivi trovano la loro obiettiva giustificazione nella diversità dei settori economici, dei mercati di riferimento, delle dimensioni delle imprese e sono espressione del principio del pluralismo sindacale.
Il dinamismo della concorrenza intersindacale è, infatti, un valore “costituzionale”, da tutelare, fermo restando il requisito della maggiore rappresentatività delle organizzazioni datoriali e sindacali che sottoscrivono i contratti e il necessario contrasto al dumping contrattuale fatto da organizzazioni di dubbia rappresentatività.
fonte ipsoa
Il dibattito politico sul salario minimo si concentra, nel 2024, sulla delega al Governo per l’adozione, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva. In particolare, il testo della delega chiede di individuare per ogni categoria il contratto maggiormente applicato e di estendere erga omnes la disposizione del contratto collettivo che si occupa della materia retributiva. Inoltre, si vuole dare impulso alla contrattazione collettiva di secondo livello, che dovrebbe essere incentivata e che potrebbe essere utilizzata come strumento di rilancio della produttività delle imprese. Proposte che, tuttavia, potrebbero trovare delle difficoltà applicative nel nostro ordinamento. Per quali ragioni?
Il tema della giusta retribuzione e il fenomeno dei lavoratori poveri sono nuovamente al centro del dibattito politico e sindacale.
Questa volta il legislatore è tornato sul tema con una delega al Governo, il quale è chiamato ad adottare, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché in materia di controlli e informazioni.
Il ruolo della contrattazione collettiva
Prima di entrare nel merito della proposta, è opportuno ricordare che la storia delle relazioni sindacali del nostro Paese negli ultimi 70 anni ha posto la contrattazione collettiva al centro del sistema per la determinazione dei trattamenti retributivi, affinché tali trattamenti siano rispondenti al precetto di cui all’art. 36 della Costituzione, in linea con le situazioni economiche di mercato dei singoli settori, nonché coerenti con le qualifiche dei singoli lavoratori e con l’andamento della produttività dei diversi comparti.
La giurisprudenza, infatti, facendo leva proprio sull’art. 36 Cost. e sull’ art. 2099 c.c., è riuscita a garantire l’estensione nell’applicazione dei contratti collettivi e, segnatamente, dei minimi retributivi dagli stessi definiti. Il meccanismo elaborato dalla giurisprudenza nel corso degli anni - e oggi ampiamente consolidato - si basa proprio sull’assunto per il quale la contrattazione collettiva, con le sue caratteristiche di flessibilità e uniformità, è lo strumento maggiormente in grado di fissare la giusta misura della retribuzione
La Direttiva UE 2022/2041
Il quadro internazionale dimostra, poi, che la determinazione per legge di un salario minimo è tipica di Paesi caratterizzati da un sistema di contrattazione collettiva “debole”. La situazione italiana è differente poiché vi è una significativa diffusione non solo della contrattazione collettiva nazionale, ma anche della contrattazione collettiva di secondo livello.
Anche la recente Direttiva UE 2022/2041 relativa a salari minimi adeguati nell’ Unione europea istituisce un quadro di riferimento principalmente finalizzato a promuovere la diffusione della contrattazione collettiva nella determinazione dei salari.
Essa pone al centro del sistema per il miglioramento del mercato del lavoro proprio il ruolo centrale delle Parti Sociali, stimolando gli Stati membri a rafforzare la contrattazione collettiva e ad incoraggiare negoziazioni costruttive, significative e informate.
La Direttiva ribadisce, ancora una volta, come la chiave di volta per poter migliorare il sistema di tutele e accrescere la produttività sia la “contrattazione collettiva di qualità”, che si compone di una serie di strumenti e disposizioni, che vanno ben oltre i “minimi salariali” e che incidono fortemente sulla capacità di spesa, sul benessere economico e organizzativo dei lavoratori e sul sistema dei diritti sociali.
Proprio l’ampia diffusione della contrattazione collettiva nel nostro Paese ha consentito di elaborare un sistema di protezioni e tutele complessive, che non possono essere ricondotti alla sola nazione di “salario minimo”. L’introduzione di un salario minimo legale, pertanto, vanificherebbe gli equilibri raggiunti tra le parti sociali e indebolirebbe il ruolo del contratto collettivo, che, lungi dal determinare i soli salari, è lo strumento che consente di individuare soluzioni per le mutevoli esigenze organizzative e di flessibilità delle imprese, di assicurare tutele collettive e, spesso, sistemi di welfare integrativi in favore dei dipendenti. Si pensi, ad esempio, alle previsioni dei Ccnl sulle prestazioni erogate dagli enti bilaterali dell’artigianato e della piccola e media impresa, che determinano vantaggi economici per i dipendenti ben superiori alla singola quota di contribuzione.
Inoltre, l’introduzione di una norma sul salario potrebbe essere inefficace anche per arginare il lavoro irregolare, supponendo che, ai lavoratori irregolari non verrebbe applicato il salario minimo legale, così come oggi non viene riconosciuto il salario minimo contrattuale. Ben più auspicabile, invece, intervenire efficacemente sul sistema di vigilanza, del controllo e della certezza delle regole.Cosa prevede la delega al GovernoLa recente proposta del legislatore di intervenire in materia di salario minimo se da un lato elimina il riferimento al salario minimo orario - riferimento che avrebbe comportato notevoli complessità attuative e, nei casi peggiori, anche a una vera e propria fuga dall’applicazione del contratto collettivo - dall’altro lato, tuttavia, sembra continuare a ignorare il tema del pluralismo sindacale, che è nei tratti caratteristici del nostro ordinamento sindacale.
Il testo della delega al governo, infatti, chiede di individuare per ogni categoria il contratto maggiormente applicato. Si tratta di una disposizione di difficile attuazione, per varie ragioni, che fanno perno sull’art. 39 Cost.
In primo luogo, non esiste un elenco tassativo delle categorie di riferimento dei vari Ccnl, ma è possibile che i contratti collettivi abbiamo campi di applicazione che si sovrappongono, totalmente o parzialmente. Come noto, infatti, l’art. 39 Cost. dispone che “l’organizzazione sindacale è libera” e tale principio è stato interpretato anche consentendo a ciascuna organizzazione sindacale e datoriale di raggruppare e rappresentare datori di lavoro e lavoratori non appartenenti a una categoria specifica omogenea e predeterminata.
In altri termini, il pluralismo sindacale, che trova espressione nei vari perimetri sanciti dai contratti collettivi è frutto della libertà dell’organizzazione sindacale. Sarebbe quindi necessario chiarire la compatibilità di una disposizione siffatta con l’art. 39 della Costituzione, primo comma.
In secondo luogo, la norma sembra voler produrre l’estensione erga omnes della disposizione del contratto collettivo che si occupa della materia retributiva. Il nostro ordinamento, tuttavia, consente tale estensione solo a seguito di un procedimento specifico, che passa attraverso la registrazione delle varie organizzazioni sindacali e datoriali. Non si comprende, pertanto, come conciliare tale previsione con il disposto dell’articolo 39, quarto comma.
Ben più opportuna, invece, la parte delle delega che intende dare impulso alla contrattazione collettiva di secondo livello, che dovrebbe essere incentivata e che potrebbe essere utilizzata anche come strumento di rilancio della produttività, della bilateralità o del welfare, della conciliazione vita-lavoro, della formazione professionale, ma anche come strumento di modernizzazione dell’attività di impresa e come facilitatore della trasmissione dell’attività di impresa
In estrema sintesi, la breve indagine in parola consente di concludere come ogni proposta che favorisca l’introduzione del salario minimo legale costituisca un tema estremamente complesso per l’attuale assetto del nostro ordinamento sindacale.
L’idea di estendere il trattamento del contratto maggiormente applicato in ciascuna categoria appare uno degli aspetti più controversi della delega, perché non tiene conto del fatto che, le attuali differenze retributive presenti nei vari contratti collettivi trovano la loro obiettiva giustificazione nella diversità dei settori economici, dei mercati di riferimento, delle dimensioni delle imprese e sono espressione del principio del pluralismo sindacale.
Il dinamismo della concorrenza intersindacale è, infatti, un valore “costituzionale”, da tutelare, fermo restando il requisito della maggiore rappresentatività delle organizzazioni datoriali e sindacali che sottoscrivono i contratti e il necessario contrasto al dumping contrattuale fatto da organizzazioni di dubbia rappresentatività.
fonte ipsoa