DONNE E PARI OPPORTUNITA’ SUL LAVORO: OCCORRE COLMARE IL DIVARIO
sei una lavoratrice? Iscriviti al Sindacato ACAI SALP! contattaci subito Garantire pari opportunità nel mercato del lavoro significa combattere ogni forma di discriminazione basata sul genere. In un contesto come quello italiano - caratterizzato da bassi livelli di partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e da differenze di retribuzione a sfavore della componente femminile - il monitoraggio, la promozione e il sostegno alle pari opportunità diventano strategici. Cosa possono fare i sindacati per conseguire l’uguaglianza di genere sul lavoro? • capire meglio ciò di cui hanno bisogno le donne • valutare quali miglioramenti possono essere realizzati per il loro equilibrio vita/lavoro Il Sindacato SALP ACAI lavora per promuovere i diritti delle donne, nonché l’uguaglianza fra donne e uomini nel mercato del lavoro e nella società in generale. Così facendo, affronta questioni come la parità retributiva, la qualità del lavoro, la presenza delle donne nei processi decisionali, la conciliazione della vita privata, familiare e professionale e le condizioni nel posto di lavoro, a casa, nella società.
Secondo l'ILO (International Labour Organization, L'Organizzazione internazionale del lavoro, un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti), la recente crisi economica internazionale ha avuto pesanti ripercussioni sulle categorie più deboli del mercato del lavoro e, tra esse, soprattutto quella delle donne. Sono sensibilmente peggiorate le condizioni di parità di genere, con il conseguente aumento delle discriminazioni in ambito lavorativo. Ogni quattro anni, la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) conduce uno studio sulla situazione delle donne nelle organizzazioni affiliate. Alla fine del 2006, ha posto loro una serie di precise domande in materia di adesione delle donne, attuazione del principio di integrazione della dimensione di genere all’interno delle politiche sindacali e ruolo delle donne nel processo decisionale dei sindacati. Dall’ultima pubblicazione della CES su queste tematiche è stata “Women in trade unions in Europe: Bridging the gaps’ (“Le donne nei sindacati in Europa: colmare il divario), emerge che la presenza delle donne nei sindacati si è attestata sul 42,6%, con un aumento di circa il 2,5% sullo studio precedente. Anche che se l’adesione sindacale totale è calata, il numero di tesserate è aumentato nella maggior parte dei paesi, probabilmente legate alla maggiore presenza di donne nella forza lavoro europea. Lo studio ha mostrato, inoltre, come i sindacati in Europa stiano sempre più monitorando la composizione dei loro iscritti, raccogliendo regolarmente dati sui propri tesserati, sia donne che uomini. In che modo il nostro sindacato garantisce la difesa degli interessi delle donne? Integrazione della dimensione di genere L’integrazione della dimensione di genere punta a valutare l’impatto di tutte le politiche e azioni che riguardano donne e uomini e a sfruttare al massimo il loro effetto positivo sull’uguaglianza di genere. Da uno studio emerge che il 95% delle confederazioni sindacali interviene, in qualche misura, a favore dell’integrazione della dimensione di genere, ma solo un terzo esamina tutte le proprie politiche alla luce di questa tematica. Integrare la dimensione di genere in un’organizzazione è un lungo processo, che richiede una combinazione di iniziative, sia ascendenti che discendenti. L’esperienza mostra che l’impegno dei livelli direttivi è fondamentale per promuovere il cambiamento e migliorare le pari opportunità. Nell’ attività sindacale, l’integrazione della dimensione di genere assume tre aspetti: 1. Nel processo di contrattazione collettiva. I sindacati nazionali dovrebbero esercitare pressioni per le questioni di particolare rilevanza per le lavoratrici, come l’eliminazione delle disuguaglianze retributive, l’introduzione di accordi sulla flessibilità, la creazione di strutture di assistenza all’infanzia, sfruttando la legislazione e le politiche di governo in materia di uguaglianza a sostegno delle loro richieste. 2. Nelle politiche e strutture sindacali. Un’integrazione efficace della dimensione di genere deve essere attuata in ogni fase della politica. Alcuni esempi: garantire che donne e uomini siano inclusi nei gruppi di negoziazione, definire linee guida per la contrattazione collettiva in materia di uguaglianza di genere, organizzare corsi di formazione per leader, sia uomini che donne, sulle tematiche di genere. I sindacati hanno anche spesso adottato misure formali per attuare l’integrazione della dimensione di genere: adottando disposizioni formali nei propri statuti o risoluzioni, definendo piani per l’uguaglianza e attuando misure per aumentare il numero delle donne nei livelli superiori. Queste politiche hanno prodotto risultati di vario tipo: sono donne il 14% dei presidenti delle confederazioni nazionali, il 36% dei vicepresidenti, il 12% dei segretari generali e il 20% dei vicesegretari generali. 3. Nel ruolo dei datori di lavoro. I sindacati possono anche chiedere di mettere in atto misure specifiche per promuovere l’uguaglianza di genere fra i propri dipendenti. Ad esempio, introdurre orari di lavoro flessibili, modificare orari e frequenza delle riunioni per adattarli alle responsabilità familiari, avere politiche di assunzione e progressione della carriera neutrali rispetto al genere, adottare schemi retributivi La Carta sull’integrazione della dimensione di genere afferma l’impegno dei sindacati per l’uguaglianza di genere e obbliga le organizzazioni ad adottare piani di uguaglianza di genere e a nominare una persona ai massimi livelli per monitorare l’integrazione della dimensione di genere. Nell’ambito delle discussioni con le istituzioni dell’UE e delle negoziazioni con gli imprenditori la Carta impone ai sindacati di: • valutare “considerando le tematiche di genere” tutte le proposte, come quelle sui modelli flessibili di lavoro; • incoraggiare la partecipazione delle donne nei comitati e nelle unità di contrattazione collettiva; • formare i negoziatori sulle tematiche di uguaglianza di genere; • includere una prospettiva di genere su tutte le tematiche • impegnarsi a chiudere il divario retributivo di genere utilizzando obiettivi e revisione degli schemi di valutazione professionale improntanti all’uguaglianza di genere ed elaborare un codice di protezione della dignità sul lavoro e per l’eliminazione delle molestie sessuali sul luogo di lavoro. L’UE si adopera da oltre trent’anni per realizzare la parità retributiva per lavori di pari valore e, negli ultimi anni, ha esteso questo concetto all’occupazione, alla promozione delle formazione professionale, alle condizioni di lavoro, a salute e sicurezza sul posto di lavoro e alla fornitura di beni e servizi. Il nuovo Trattato di Lisbona stabilisce che l’UE è fondata sui valori di rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze: valori comuni agli Stati membri di una società in cui prevalgono pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza fra donne e uomini. La Carta dei diritti fondamentali sancisce che (articolo 23) “la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”. Basata originariamente sull’articolo 119 del Trattato di Roma che fondava la Comunità economica europea, la direttiva del 1975 sulla parità di retribuzione vietava qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli aspetti e condizioni riguardanti la retribuzione. Stabiliva inoltre che qualsiasi sistema di classificazione professionale utilizzato per determinare la retribuzione deve avere gli stessi criteri per uomini e donne e proteggere i lavoratori contro il licenziamento come reazione a una rimostranza. Nel 1976, nell’ambito della direttiva sulla parità di trattamento, questo principio è stato esteso a assunzione, promozione, formazione e condizioni di lavoro. La direttiva del 1979 sulla sicurezza sociale imponeva la parità di trattamento fra uomini e donne, nei regimi legali, in materia di protezione contro malattia, invalidità, anzianità, incidenti sul lavoro, malattie professionali e disoccupazione. Le sentenze emesse dalla Corte di giustizia europea (CGE) hanno tuttavia evidenziato le difficoltà di applicazione di tutti questi concetti nella realtà. Nel 1992 la direttiva sulle lavoratrici stabiliva un congedo maternità minimo di quattordici settimane, mirava a proteggere tali lavoratrici dall’esposizione a sostanze chimiche nocive e altri agenti pericolosi, vietava il lavoro notturno e le tutelava dai licenziamenti. La direttiva è in via di modifica. Le modifiche principali della direttiva riguardano: • il prolungamento del congedo - ogni genitore potrà prendere quattro mesi di assenza dal lavoro per ogni figlio (in precedenza tre mesi). Il mese extra non può essere trasferito da un genitore all’altro, incoraggiando così i padri a prendere il loro congedo; • l’assenza di discriminazione - un dipendente che chiede o prende il congedo parentale sarà protetto da eventuali trattamenti discriminanti dovuti a tale richiesta o beneficio; • i contratti di lavoro - i nuovi diritti si applicheranno a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro tipo di contratto (tempo determinato, tempo parziale, lavoratori di agenzie interinali); viene tuttavia mantenuta la possibilità di un periodo di qualifica di un anno al massimo. Un’altra direttiva, quella sulla parità di trattamento, è stata modificata nel 2002 per inserirvi le definizioni di molestia, molestia sessuale e discriminazione diretta e indiretta, ed ha imposto agli Stati membri di creare appositi organi incaricati di promuovere, analizzare, monitorare e sostenere la parità di trattamento fra donne e uomini. Tutte queste direttive UE fanno parte integrante del cosiddetto “acquis” comunitario, ossia il corpus dei diritti e degli obblighi che vincolano tutti gli Stati membri nell’Unione europea. Nell’ambito del processo di adesione all’Unione europea, tutti i paesi candidati devono trasporre “acquis” nei rispettivi ordinamenti nazionali, e renderlo attuativo dal momento dell’entrata nell’UE. 7 Barbara Balistreri, Referente Nazionale Donne Sindacato SALP ACAI |